domenica 29 aprile 2018

Historia de los " gnocchi "

Con ogni probabilità lo gnocco è la prima forma di pasta usata dall’uomo. Risulta infatti spontaneo mescolare a freddo un po’ di farina (derivante da miglio, panico, sorgo, farro, grano), con poca acqua, farne delle palline e cuocerle in acqua bollente. Gnocco è un termine longobardo (knohha, cioè nodo, nocca), d’epoca medioevale, esso definisce qualunque impasto di forma tondeggiante. 
Nei secoli passati e anche oggi in alcune zone, la parola gnocco e sinonimo di maccherone. Nel XIV sec. il Boccaccio quando nel Decamerone parla di: “maccheroni che rotolavano a valle di una montagna di formaggio grattugiato”, alludeva con ogni probabilità a una sorta di gnocchi. 
I primi erano a base di farina o di semolino, quelli con patate o mais vengono in uso solo verso al fine del ‘700. Da notare che con il passare del tempo la dimensione degli gnocchi si è andata riducendo. Siamo partiti da gnocchi grossi come uova per arrivare a gnocchetti piccolissimi a forma di conchigliette, arricciolati su se stesse per trattenere il condimento. 
Questo tipo di pasta si può trovare in numerose regioni d'Italia: canederli in Trentino, knodeln in Alto Adige, gnocchi cotti a vapore in Friuli Venezia Giulia, gnocchi di patate in Veneto, gnocchi alla bava in Piemonte, gnocchi alla lariana a Como, maccheroni di patate in Romagna, gnocchi alla romana nel Lazio. 

sabato 28 aprile 2018

Ravioli

I Romani sicuramente non conoscevano il raviolo, ma preparavano dei piatti che potevano essere già considerati progenitori della pietanza. Una ricetta del cuoco romano Marco Gavio Apicio chiamata “patinam apicianam sic facies“- torta di Apicio -,  era già una specie di raviolo. 
Secondo gli storici dietro al termine raviolo ci sono diversi equivoci. Dall'interpretazione dei testi medievali sarebbe possibile comprendere che il nome "raviolo" poteva essere sia sinonimo di tortello, quindi un ripieno avvolto nella pasta, che indicare una sorta di impasti o polpette modellate a forma di uovo, cotte in brodo o in grasso. 
Le nascita del termine "raviolo" avrebbe diverse interpretazioni, ad esempio una lo farebbe derivare da "rabiola" cioè piccola rapa, un'altra da "rovigliolo" nel senso di groviglio (per il ripieno). Ma quella che più ci piace, anche se non esistono documenti che la confermino, è l'ipotesi che il raviolo sarebbe stato concepito a Gavi Ligure, quando questo paese-roccaforte apparteneva alla "Repubblica di Genova", il suo primo cuoco sarebbe stato un tal "Ravioli", che è appellativo di famiglie tuttora residenti in zona. Il raviolo è l'unica pasta ripiena di cui si abbia notizia nei secoli XII e XIII. Secondo quanto si legge su "Paesaggio agrario in Liguria", in un contratto della fine del millecento, un colono savonese si impegna a fornire al padrone un pasto per tre persone, alla vendemmia, composto di pane, vino, carne e ravioli. Nel '200 Genova comincia a diffondere i ravioli, anche grazie agli scambi che si facevano nelle "fiere". Il "raviolus" giunge a Parma prima della fine del secolo (cronaca di Fra Salimbene), e verso la metà del '300 il Boccaccio lo esalta nel Decamerone fra le leccornie del Paese della Cuccagna: 
"...stava genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi...". 
Anche nelle famiglie più povere, una religiosa attenzione è da sempre destinata alla preparazione di questa pasta fresca all'uovo ripiena, il cui nome cambia (raviolo o agnolotto) a seconda della posizione geografica e dei diversi ingredienti contenuti (i più diffusi sono ricotta, spinacie noce moscata). 

mercoledì 14 febbraio 2018

La tradizione culinaria napoletana






La tradizione culinaria napoletana, oggi riconosciuta in tutto il mondo come sinonimo di gusti e ricchezze inimitabili, è il risultato delle tantissime culture che si sono susseguite nei secoli ed i “monzù” sono stati l’apice di questa evoluzione. Il “Liber de Coquina”, uno dei più importanti ricettari medievali che sono arrivati fino a noi, testimonia che, già nel XIII secolo, Napoli aveva già recepito la ricercata cucina del mondo arabo, con l’utilizzo di spezie ed accostamenti inimmaginabili nell’Europa del tempo.

Così, ingredienti poveri riuscivano ad unirsi in sapori forti e genuini creando molte delle pietanze che gustiamo ancora oggi. Tuttavia, la vera rivoluzione culinaria napoletana arrivò sotto il regno dei Borbone e la conseguente influenza della raffinatissima Francia. Abbiamo parlato spesso del complicato rapporto matrimoniale fra Ferdinando IV di Borbone, il “Re Lazzarone”, con l’altezzosa Maria Carolina d’Austria. Lui cresciuto come uno scugnizzo fra i vicoli di Napoli, predisposto più alla caccia ed allo sport che ai lustri nobiliari ed incline a scherzi e giochi poco consoni ad un sovrano; lei, fiera esponente della casata asburgica ed abituata a lussi ed onori di ogni genere.

Nonostante l’abissale differenza, i due sovrani trovarono un giusto compromesso coniugale: Ferdinando continuava a comportarsi da lazzarone, mentre Carolina cercava inutilmente di inculcargli la sua classe. C’era una cosa, però, che la regina non riusciva a tollerare: la cucina napoletana del tempo. Quei sapori tanto marcati e schietti la disgustavano al punto da chiedere aiuto alla sorella Maria Antonietta, Regina di Francia fino alla Rivoluzione, nota buongustaia, altezzosa quanto lei e talmente ben voluta dal popolo da essere ghigliottinata.

Per salvare il palato della sorella, Antonietta inviò alla corte di Napoli alcuni fra i migliori cuochi francesi per educare i colleghi nostrani ai gusti più in voga del tempo. La cucina napoletana, però, era troppo particolare per essere assorbita da quella d’oltralpe, anzi, avvenne l’esatto opposto: la nuova generazione di chef partenopei creò una cucina completamente nuova, che arricchiva quella tradizionale con creme e preparazioni tipiche francesi. I nuovi artisti della tavola venivano appellati col titolo di Monsieur, “signore” in francese.

Come spesso è accaduto, il termine è stato alterato fino ad arrivare ad una forma più facilmente pronunciabile nelle nostre terre: così, i monsieur divennero in tutto il Regno di Napoli, i “monsù”, poi “monzù”. Una etimologia confermata anche dall’Enciclopedia Gastronomica Italiana, che definisce in questo modo il termine: “traduzione dialettale napoletana e siciliana della parola francese monsieur. Monzù erano chiamati nei secoli XVIII e XIX i capocuochi delle case aristocratiche in Campania e in Sicilia perché, in epoca di influenza gastronomica francese, niente più di un titolo francesizzante pareva premiare l’eccellenza, anche se essi di solito francesi non erano.”

Alle dipendenze delle più importanti famiglie nobiliari del tempo, punte di diamante indiscusse in ogni corte, i monzù arrivarono a formare vere e proprie casate nelle quali la sublime arte culinaria veniva tramandata di padre in figlio e perfezionata dopo ogni generazione. Secondo quanto riportato da ristorazioneruggi.com, fu proprio grazie ad uno di loro, tale Gennaro Spadaccino, che oggi abbiamo la forchetta con quattro punte.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Forchetta
Anche questa invenzione venne ordita da Maria Carolina: i maccheroni erano uno dei piatti più amati dal popolo, che per raccoglierli bene usava mangiarli con le mani, usanza che ripugnava la regina. Fu sul punto di bandirli completamente dal regno, ma non aveva fatto i conti col marito, amante sfegatato della pasta ed anche lui estimatore del gustarla con le mani. Così, per salvare matrimonio e regno, Carolina ordinò al suo monzù più fidato di creare un sistema per sostituire l’uso delle mani.

I monzù hanno rivoluzionato più di una volta l’alta cucina di Napoli e del mondo intero, ma, ormai, sono figure professionali estinte. Uno dei pochi grandi esponenti di questa nobile arte è Gerardo Modugno, l’ultimo vero monzù napoletano, che gestisce una prestigiosa accademia volta a tramandare alle future generazioni l’antica cucina aristocratica che deliziò il Regno delle Due Sicilie.







giovedì 9 novembre 2017

Historia della pizza Margherita

Prima del XVII secolo la pizza era coperta con salsa bianca. Fu più tardi sostituita con olio d'oliva, formaggio, pomodori o pesce: nel 1843, Alexandre Dumas (padre) descrisse la diversità dei condimenti della pizza. La pizza marinara risale al 1734, mentre la pizza Margherita è degli anni 1796-1810. Nel giugno 1889, per onorare la Regina d'Italia Margherita di Savoia, il cuoco Raffaele Esposito preparò la "Pizza Margherita", una pizza condita con pomodori, mozzarella e basilico, per rappresentare i colori della bandiera italiana. Historia La tradición cuenta que en junio de 1889, para honrar a la reina de Italia, Margarita de Saboya, el cocinero Raffaele Esposito de la pizzería Brandi creó la pizza Margarita, representando sus condimentos (tomate, mozzarella y albahaca) los colores de la bandera italiana. ​ Sin embargo, lo que ahora se llama pizza Margarita ya había sido preparado antes de su dedicación a la reina de Italia. Francesco De Bouchard describió en 1866 los principales tipos de pizza, que actualmente se denominan marinera, Margarita y calzone. ​ Por otra parte, ya en 1830, un tal Riccio ya había descrito en el libro Napoli, contorni e dintorni una pizza con tomate, mozzarella y albahaca.​

sabato 28 ottobre 2017

Gastronomía de Nápoles ( Napoli)


Gastronomía de Nápoles


La gastronomía de Nápoles (en italiano mencionada como cucina napoletana) es un conjunto de platos y costumbres culinarias diversas debidas en parte a las numerosas invasiones que ha sufrido la ciudad de Nápoles a lo largo de su historia siendo posible además añadir a la memoria histórica culinaria de la ciudad la creatividad propia de los habitantes de la misma que ha permitido 'fusionar' diferentes estilos y tradiciones todos ellos guardados por su población a lo largo de la historia con rigor. A pesar de ser tan tradicional, el primer recetario de cocina napolitana sale a la luz en el año 1765 y se titula Il cuoco galante de Vincenzo Corrado en él se menciona el carácter humilde de los platos napolitanos



Es difícil remontar la historia hasta encontrar las raíces de la gastronomía de Nápoles la ciudad sufrió antiguamente de la influencia helénica la ciudad sufrió numerosas invasiones siendo un reino de Nápoles durante casi cuatrocientos años. Durante el periodo del Imperio romano se puede ver en numerosos frescos de la ciudad de Pompeya composiciones frutales de higos y granadas (un ejemplo es la Villa Poppaea en Oplontis). Es muy posible que uno de los ingredientes más empleados en los platos napolitanos de esta época fuera el garum elaborado en ciudades como Cetara. Apicio menciona de los antiguos romanos la condimentación de diversos platos salados mediante el empleo de la uva pasa como puede ser la pizza di scarole o la braciole al ragù. Algunos dulces típicos provienen del periodo grecorromano como es el caso del vocablo griego στρόγγυλος (stróngylos que significa ‘de forma tondeggiante’) de esta forma se tiene el struff   




Comedor de Spaghetti.

crostino napoletano
calzone alla napoletana
parmigiana di melanzane
scapece-frito de pescado que luego se macera
sartù de arroz y carnes

crostata di tagliolini
frittata di pasta napoletana
Lasagne di carnevale
pasta e Lenticchie-Mezcla curiosa de pasta y legumbres
pasta e fagioli-Pasta con alubias
ragù napoletano
spaghetti a vongole

bistecca alla pizzaiola
cianfotta
casatiello
insalata caprese
gatò di patate
parmigiana di melanzane
risotto alla pescatora
salsiccia e friarelli
torta di carciofi
zuppa di cozze
Dulces   
babà
quaresimali
pastiera
roccocò
sanguinaccio dolce
sfogliatella (frolla y riccia)
struffoli
zeppole